SANTINA CAMPANA

Santina Campana

Quando fu portata al Battesimo, un giorno di febbraio del 1929, la sua nonna protestò: «Volete chiamarla Santina, ma sul calendario non c’è alcuna santa con questo nome!». Il parroco rispose: «Sta’ tranquilla, questa bambina sarà la prima santa con questo nome sul calendario».

 

Santina CampanaSettima di nove figli, Santina Campana nasce ad Alfedena (L’Aquila), il 2 febbraio 1929. Santina è una bambina assai precoce. Istintivamente, ricorre alla preghiera, con una fiducia in Dio senza limiti, sempre sicura di ottenere da Lui ciò che chiede. È solita assicurare: «Tutto andrà bene. Non temete». Come sempre avviene… se prega Santina.
L’11 giugno 1936, festa del Corpus Domini, riceve la prima Comunione con la sorella Assunta e il fratello Michele. Dietro l’immaginetta ricordo scriverà: «Fa’, o Gesù, che il profumo di questo giorno sia sempre nella mia vita», e chiede: «Che io soffra per Te e che mi faccia santa come Santa Teresina».

“Mi offro vittima”

Qualche tempo dopo, le sfugge una profezia: «Gesù mi farà sua sposa come Teresina». In una parola: la piccola grande Santa di Lisieux è il suo modello e quanto chiede, tutto si avvera.


Nel giugno del ’40, termina le scuole elementari e vede, a poco a poco, partire le sue sorelle e i suoi fratelli per diverse Congregazioni religiose. In tutto sono sei. Santina è lieta che Gesù sia passato a casa sua a chiamare senza fine e commenta: «Dove c’è una vocazione, c’è sempre una vittima», e lei si offre vittima per i suoi fratelli e le sue sorelle. 
Dopo la scuola, Santina è donnina tuttofare della casa. Fa parte della Gioventù di Azione Cattolica nella sua parrocchia e partecipa a portare cesti di sabbia e secchi di acqua a 200 metri di distanza dove si costruisce la sede dell’Associazione. Passando davanti alla chiesa, saluta Gesù Eucaristico, dicendo: «Che ad ogni goccia d’acqua, Tu salvi un peccatore».
Riceve la Cresima nell’aprile 1939 e si fa assai autorevole: la sua casa diventa un piccolo cenacolo dove si radunano tanti bambini che la ascoltano più di una maestra e imparano da lei a vivere da cristiani.
Dopo il giugno 1940, giungono gli anni difficilissimi della guerra. All’Armistizio dell’8 settembre 1943, mentre molti esultano perché la “guerra è finita”, lei, ad appena 14 anni, dice: «La guerra inizia adesso».
Alfedena è occupata dai tedeschi, impegnati a distruggere, deportare, uccidere. Per salvarsi, alla buona gente non resta che scappare tra i boschi, sulle montagne. Il 7 ottobre Alfedena è devastata. È una fuga generale. Santina infonde fiducia a tutti: prega e ottiene scampo e aiuto per sé e per gli altri. Mentre infuria il terrore, disseminato anche dai marocchini usi a stuprare le donne, Santina afferma con sicurezza: «Non temete. Dio è Padre e sa che ci siamo».
Nel Natale 1943, la pleurite la squassa con febbre a 42. Le viene estratto abbondante liquido pleurico. Profuga e raminga, con il padre rapito dai tedeschi, ha il coraggio di dire: «Non piangete. Abbiate fiducia. Dio ci ha salvati e ci salverà». Finalmente, al passaggio dei soldati polacchi, è la Provvidenza che arriva col cibo e medicine per chi ha bisogno.

L’offerta accettata

Si torna a casa, dove tutto però è distrutto. Nel lamento generale, Santina dice: «I beni di questa terra passano in fretta. I beni del cielo invece sono eterni. Ringraziamo il Signore che ci ha conservati in vita».
Il 1° ottobre 1945, parte per Roma ed entra tra le Suore della Carità. In un anno supera le prime tre classi del ginnasio. Ma ciò che importa è la piena configurazione a Gesù: «Il sacrificio gradito a Gesù è quello che Lui ci chiede, non quello che piace a noi». «Devo far tacere in me i pensieri inutili; coltiverò la vita interiore implorando l’aiuto della Madonna. Voglio aver paura e vergogna del peccato veniale ad ogni costo».
Prega intensamente, perseguendo un solo ideale: farsi santa, presto santa, santa da giovane: «Sono sicura che non arriverò a 18 anni, senza essere colpita dal male. Farò i voti solo per morire. Non prenderò neppure il santo abito, ma con il mio sì totale guadagnerò anime a Gesù».
Il 25 marzo 1947, si trova con la bocca piena di sangue per la prima emottisi della TBC che l’ha colpita, proprio come Santa Teresina. È l’inizio della sua salita al Calvario, lenta e crocifiggente.
In luglio è ricoverata a Villa Rinaldi a Piscina, dove rimarrà tre anni, facendosi centro di attrazione per malati e medici, a causa della sua fede luminosa e per la gioia che irradia.
Presto spiega a chi l’avvicina: «Sì, mi tocca portare la croce, ma la mia croce è tutta bianca. Tutto mi è di gioia. La mia via coperta di rovi è stata tramutata in tanti fiori, fiori teneri e soffici che quasi fanno da cuscino ai miei piedi nel cammino per seguire Gesù».
Santina è consumata dalla febbre, che la lascia raramente, e più è forte la febbre, più sale in lei la sete di salvare anime: «Che la Redenzione non diventi mai inutile per nessuno». Questo è il suo assillo, il suo tormento. In stile lapidario, quasi tagliente, fissa il suo programma: «Dio solo per fine, Gesù per modello, Maria per guida, il mio Angelo per aiuto, io sempre nel sacrificio».
Legge molto per istruirsi nella fede e illuminare chi avvicina, così nel sanatorio può essere un’apostola. Il cappellano, Padre Michelin, fonda nell’ospedale una sezione dell’Azione Cattolica e Santina è nominata presidente. Lo fa, soffrendo, in modo efficacissimo. Provvede, incredibile a dirsi, alle Missioni, all’Apostolato della sofferenza, della preghiera, della riparazione dei peccati, della santificazione dei sacerdoti e degli ammalati.

La perla che tutto spiega

È molto contenta quando vengono i suoi a trovarla. Ma è lieta, persino burlona, sempre, con incredibile voglia di scherzare. «Se sei venuta per piangere, dice a sua sorella, te ne puoi andare». «Vuoi consolarmi? E di che cosa? I giorni mi volano uno più bello dell’altro. Esiste il Paradiso, perché io già ci sono!». «La mia anima è sommersa in un oceano di pace. Se sapessi come sono felice! La mia vita è una continua gioia!».
Eppure la sua giovanissima esistenza si sta consumando in uno sfacelo fisico sempre più netto. Ne è consapevole e commenta: «Che vale la vita senza sacrificio?».
Le malate più gravi la vedono ancora al loro capezzale, angelo di consolazione e di luce. 
I malati più difficili e insopportabili li vuole vicino e ha la fede di vedere e di servire Gesù in loro. Rifiuta i calmanti: «Non voglio intontirmi. Voglio esser presente a me stessa fino all’ultimo, perché fino alla morte voglio fare atti di amore per Gesù».
All’inizio dell’ottobre 1955, l’Anno Santo voluto dal Papa come l’anno del gran ritorno e del grande perdono, Santina fa chiamare i suoi cari attorno a sé. Il 3 ottobre dice al cappellano: «Voglio tutti i Sacramenti». Alla mamma, raccomanda: «Non piangete. Vado in Paradiso a prepararvi il posto. Cantiamo insieme alla Madonna».
Mentre il cappellano solleva l’Ostia consacrata, Santina Campana, aiutata dalla superiora delle Suore della Carità, pronuncia i voti in articulo mortis, lieta di morire sposa di Gesù. Saluta coloro che l’assistono, la mamma, i familiari, il medico di guardia, il quale fugge in lacrime, dicendo: «Mai visto una cosa simile. Un’altra Santina non l’avremo più».
Alle 22,05, a 21 anni appena, contempla per sempre Dio: è il 4 ottobre 1950. Una grande inspiegabile gioia avvolge i suoi cari e coloro che l’avevano a
vvicinata, certi che un angelo in più è salito al cielo.
Tra i suoi scritti, viene trovata una “perla” che spiega la sua vita: «Gesù, dolcissimo amore, martella il mio corpo, il mio cuore, come a Te piace: io ne sono felice. Voglio essere la vittima della tua volontà. Ti offro il mio sangue per tutti i sacerdoti e per la conversione dei peccatori».